Il Giornale d'Italia

Leo Gullotta è arrivato al traguardo a braccetto di Mozziconi

Tv e dintorni

di Gian Carlo Fusco

Conosco Leo Gullotta da diversi anni. Dai suoi primissimi passi d'attore. E mi accorsi ch'erano già passi sicuri, mossi da una personalità già delineata verso una professionalità «umanamente» rinnovata. Era abbastanza facile, discorrendo con Gullotta (ma mi è capitato perfino, anni fa, di fare, accanto a lui, una stralunata particina in un programma televisivo ancor più stralunato) era facile capire, dicevo, che il giovane attore era, prima di tutto, insofferente di quei «troppi cuochi» che oggigiorno, con un va e vieni da mosche cocchiere, aggregazioni parassitarie e interventi «tanto per dire», guastano la cucina dello spettacolo.
Anche in quel mondo teatrale che offre più greppie; ma soprattutto in certi popolatissimi settori della produzione televisiva «canonizzata». L'insofferenza di Gullotta era spesso rivelata, durante le «flanelle» lavorative dovute a questioni di lana caprina fra «cuochi», da battute acuminate e saettanti come frecce.    
«L'attore, piccolo o grande che sia - mi disse un giorno Gullotta - ha sempre diritto al massimo rispetto. Perché come contropartita alla paga che prende dà, fisicamente, tutto quello che può dare. Il proprio volto, i propri gesti, i propri pensieri. Un intero momento della propria vita. Anticamente gli attori, la cui capacità di passare da un personaggio all'altro era considerata «ars diabolica», venivano sepolti in terra non consacrata. Oggi, da morti, vengono sepolti regolarmente al cimitero, Ma, da vivi, in compenso, vengono seppelliti da valanghe di velleitarismi "tecnici" e di false competenze».

Mi ricordai che le stesse cose, più o meno con le stesse parole, me le aveva dette, molti anni prima, l'ottantenne Ermete Zacconi. E il punto d'incontro fra l'attore venticinquenne e il «mattatore» carico d'anni, ma anche d'esperienza e di gloria, mi sembrò il punto di partenza d'una carriera seria, grintosa, orientata verso i valori autentici e destinata a rilevanti

affermazioni.

Avevo visto giusto. Come dimostrano «Le storie di Mozziconi» (tredici, complessivamente) che lo scrittore parmense Luigi Malerba ha ricavato, come auto-sceneggiatore, dal proprio libro «Mozziconi». Pubblicato da Einaudi nel 1975 e oggi tradottissimo in mezzo mondo. Protagonista della serie, nei panni (se così si possono chiamare) dei disancorato ma, a suo modo, saggio barbone Mozziconi, Diogene di sé stesso, è Leo Gullotta. E sono certo che il regista Nanni Fabbri non disdegna i suoi consigli.

Gian Carlo Fusco