La Repubblica

Intervista a Leo Gullotta sul set del nuovo film di Nanni Loy

Imbrogli, truffe e sofferenza di Antonio Tricomi
 
HA IL TRATTO nobile di un gentiluo­mo del sud, l'ironia affilata dell'artista di razza, la cortesia un po’ impacciata della persona perbene.
Leo Gullotta passerà buona parte dell'estate e Napoli, sul set del nuovo film di Nanni Loy, Pacco doppio pac­co e contropacco.
E parlare di questo film è per lui un modo come un altro per parlare di Na­poli, città amata con traspone e insieme sofferenza.

Qual è la storia del film?
«Sono tante storie, legate da un filo conduttore. Storie di piccole truffe e di minimi imbrogli. Un modo come un al­tro per raccontare l'intelligenza, l'im­pegno e lo spirito di sopravvivenza di questi personaggi piccoli piccoli, per­denti, forse un po’ patetici, condannati da una condizione ineluttabile di disa­gio e di ingiustizia sociale. A reggere il filo rosso che collega queste piccole storie è una coppia di imbroglioncelli, interpretati da me e da Italo Celoro. Del cast fanno parte molti attori napo­letani, da Isa Danieli a Marina Gonfalo­ne a Nello Mascia».

Lei ormai viene a lavorare a Napoli a scadenze fisse, sempre con Loy. Questo è il terzo film che fate insie­me, dopo Mi manda Picone e Scugnizzi. Come si è articolato, in questi anni, il suo rapporto con la città?
«Napoli è sempre uguale, forse più nel male che nel bene, mi dispiace dir­lo».
«Una città ferma, stantia, che sembra stare li a prendersi il sole, forse troppo rassegnata al suo destino. I napoletani però ti trovo cambiati, specie i più gio­vani. Le forti emozioni e le forti delusioni che sono arrivate in questi anni non li hanno amareggiati, ne induriti.

Il napoletano, per natura, non è mai duro. Anzi, è fin troppo tenero, subisce inevitabilmente la sua città. E quasi si rifiuta di metterne in discussione le leggi».

Faccia un esempio.
«Il borgo Marinari, un luogo splendi­do, ma anche emblematico. D'estate mi è sempre piaciuto molto andarci, fermarmi nei ristoranti, starmene in pace a godermi il mare e il silenzio. Ora non posso non più farlo: la sera è im­possibile andarci, è diventato un posto orribile».

Colpa di chi?
«Se posso dire la mia opinione, colpa del Comune che permette la circolazione all'interno del Borgo. E colpa de­gli automobilisti napoletani che non sembrano poter fare a meno di sfilare, spesso anche con macchine di grossa cilindrata e con fuoristrada, per le stra­dine e le piazzette del Borgo. Ma è pro­prio necessario? E il Borgo Marinari, uno dei posti più belli del mondo, diventa una passerella della vanità».

Ma non sarà così solo a Napoli ...
«No, purtroppo. Anche Catania, la mia città, sta subendo una processo di imbarbarimento. Da ragazzo mi piace­va passeggiare lungo la via Etnea, spes­so con amici, anche fino alle tre di not­te se la stagione lo permetteva. Era un bel vivere, nessuno aveva paura di nes­suno. Oggi la via Etnea è una strada lunga e buia, con auto parcheggiate in se­conda e terza fila. Nessuno vi passeggia più, si è perso quel gusto. Anche lì, sol­tanto disagio e paura. E' come se il sud fosse la parte più esposta, più visibile dell'Italia. In queste parte del paese, tutto è più estremo, più esasperato, ma valgono per tutto il paese».

Generalmente come trascorre le sue vacanze.
«Ma quali vacanze? Fino a Ferrago­sto sarò impegnato per il film. Girere­mo gli esterni a Napoli fino a metà lu­glio e poi ci sposteremo tutti a Roma, per gli esterni. Altri esterni li gireremo ad Anzio, una scena di massa ambientata nel porto di Napoli. Sarò tanto impegnato che non potrò accettare neppure il cortese invito di Claudio Gubitosi, direttore del Giffoni Film Festival che mi aveva chiesto di condurre la manifesta­zione. Mi dispiace molto. Gubitosi è un amico e da quando lo conosco non ho mai saltato un’edizione del suo Festival».

Quando uscirà il film di Loy?
«A Natale. Ma prima mi vedrete, in­sieme a Monica Guerritore, in Sola, un film di Diego Febraro, opera prima. Ho accettato l’offerta di questo esordiente perché non si tratta della solita lagna sul post '68. Io sono un uomo di spettacolo».

di Antonio Tricomi